«L’esperienza che guarisce»: la grazia per uno studente, un ricercatore, uno studioso
«L’esperienza che guarisce»: la grazia per uno studente, un ricercatore, uno studioso

Omelia del Santo Padre Leone XIV agli studenti delle Università Pontificie

Riproponiamo, dal sito web della Santa Sede, l’omelia di Papa Leone XIV agli studenti delle Università Pontificie.

 

Cari fratelli e care sorelle,

trovarsi in questo luogo, durante l’Anno giubilare, è un dono che non possiamo dare per scontato. Lo è soprattutto perché il pellegrinaggio, per attraversare la Porta Santa, ci ricorda che la vita è viva solo se è in cammino, solo se sa compiere dei “passaggi”, cioè se è capace di fare Pasqua.

È bello pensare alla Chiesa, allora, che in questi mesi, celebrando il Giubileo, sperimenta questo essere in cammino, ricordando a sé stessa di avere costantemente bisogno di convertirsi, di dover sempre camminare dietro Gesù senza tentennamenti e senza la tentazione di sorpassarlo, di essere sempre bisognosa di Pasqua, cioè di “passare” dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita. Spero che ciascuno di voi senta su di sé il dono di questa speranza e che il Giubileo sia un’occasione attraverso cui la vostra vita possa ripartire.

Ma oggi vorrei rivolgermi a voi che fate parte delle istituzioni universitarie e a coloro che, a vario titolo, si impegnano nello studio, nell’insegnamento e nella ricerca. Quale grazia può toccare la vita di uno studente, di un ricercatore, di uno studioso? Mi piacerebbe rispondere così a questo interrogativo: la grazia di uno sguardo d’insieme, uno sguardo capace di cogliere l’orizzonte, di andare oltre.

Una tale suggestione possiamo coglierla proprio dalla pagina del Vangelo appena proclamata (Lc 13,10-17), che ci consegna l’immagine di una donna curva la quale, guarita da Gesù, può finalmente ricevere la grazia di uno sguardo nuovo, uno sguardo più grande. La condizione dell’ignoranza, che spesso è legata alla chiusura e alla mancanza di inquietudine spirituale e intellettuale, assomiglia alla condizione di questa donna: essa è tutta curva, ripiegata su sé stessa, perciò le è impossibile guardare oltre sé stessa. Quando l’essere umano è incapace di vedere aldilà di sé, della propria esperienza, delle proprie idee e convinzioni, dei propri schemi, allora rimane imprigionato, rimane schiavo, incapace di maturare un giudizio proprio.

Come la donna curva del Vangelo, il rischio è sempre quello di restare prigionieri di uno sguardo centrato su sé stessi. In realtà, però, molte cose che contano nella vita – possiamo dire le cose fondamentali – non ce le diamo da noi stessi; le riceviamo dagli altri, giungono a noi e le accogliamo dai maestri, dagli incontri, dalle esperienze della vita. E questa è un’esperienza di grazia, perché guarisce i nostri ripiegamenti. Si tratta di una vera e propria guarigione che, proprio come succede alla donna del Vangelo, ci permette di avere nuovamente una posizione eretta davanti alle cose e alla vita e di guardarle in un orizzonte più grande. Questa donna guarita ottiene la speranza, perché può finalmente alzare lo sguardo e vedere qualcosa di diverso, vedere in modo nuovo. Questo succede in particolare quando incontriamo Cristo nella nostra vita: ci apriamo a una verità capace di cambiare la vita, di distrarci da noi stessi, di farci uscire dai ripiegamenti.

Chi studia si eleva, allarga i propri orizzonti e le proprie prospettive, per recuperare uno sguardo che non si fissa solo in basso, ma è capace di guardare in alto: verso Dio, verso gli altri, verso il mistero della vita. Questa è la grazia dello studente, del ricercatore, dello studioso: ricevere uno sguardo ampio, che sa andare lontano, che non semplifica le questioni, che non teme le domande, che vince la pigrizia intellettuale e, così, sconfigge anche l’atrofia spirituale.

Ricordiamolo sempre: la spiritualità ha bisogno di questo sguardo a cui lo studio della teologia, della filosofia e delle altre discipline contribuiscono in modo speciale. Oggi siamo diventati esperti di dettagli infinitesimali di realtà, ma siamo incapaci di avere di nuovo una visione d’insieme, una visione che tenga insieme le cose attraverso un significato più grande e più profondo; l’esperienza cristiana, invece, ci vuole insegnare a guardare la vita e la realtà con uno sguardo unitario, capace di abbracciare tutto rifiutando ogni logica parziale.

Vi esorto allora – lo dico a voi studenti e a tutti coloro che si impegnano nella ricerca e nell’insegnamento – a non dimenticare che di questo sguardo unitario ha bisogno la Chiesa di oggi e di domani. E guardando all’esempio di uomini e donne come Agostino, Tommaso, Teresa D’Avila, Edith Stein e molti altri, che hanno saputo integrare la ricerca nella loro vita e nel cammino spirituale, anche noi siamo chiamati a portare avanti il lavoro intellettuale e la ricerca della verità senza separarli dalla vita. È importante coltivare questa unità, perché quanto accade nelle aule dell’università e negli ambienti educativi di ogni ordine e grado non rimanga un astratto esercizio intellettuale, ma diventi una realtà capace di trasformare la vita, di farci approfondire la nostra relazione con Cristo, di farci comprendere meglio il mistero della Chiesa, di renderci testimoni audaci del Vangelo nella società.

Carissimi, allo studio, alla ricerca e all’insegnamento è correlato un importante compito educativo e vorrei esortare le Università ad abbracciare con passione e impegno questa chiamata. Educare somiglia al miracolo raccontato da questo Vangelo, perché il gesto di chi educa è rialzare l’altro, rimetterlo in piedi come Gesù fa con questa donna curva, aiutarlo a essere sé stesso e a maturare una coscienza e un pensiero critico autonomi. Le Università Pontificie devono poter continuare questo gesto di Gesù. Si tratta di un vero e proprio atto d’amore, perché c’è una carità che passa proprio attraverso l’alfabeto dello studio, della conoscenza, della ricerca sincera di ciò che è vero e per cui vale la pena vivere. Sfamare la fame di verità e di senso è un compito necessario, perché senza verità e significati autentici si può entrare nel vuoto e si può perfino morire.

In questo cammino, ciascuno può ritrovare anche il dono più grande di tutti: sapere di non essere soli e di appartenere a qualcuno, come afferma l’Apostolo Paolo: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8, 14-15)». Ciò che riceviamo mentre cerchiamo la verità e ci impegniamo nello studio, dunque, ci aiuta a scoprire che non siamo creature gettate per caso nel mondo, ma apparteniamo a qualcuno che ci ama e che ha un progetto d’amore sulla nostra vita.

Cari fratelli e care sorelle, chiedo al Signore insieme con voi, che l’esperienza dello studio e della ricerca nell’avventura universitaria che state vivendo, possa rendervi capaci di questo sguardo nuovo; che il percorso accademico vi aiuti a saper dire, raccontare, approfondire e annunciare le ragioni della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15); che l’università vi formi a essere donne e uomini mai curvi su voi stessi ma sempre in piedi, capaci di portare nei luoghi dove andrete e a vivere la gioia e la consolazione del Vangelo.

La Vergine Maria, Sede della Sapienza, vi accompagni e interceda per voi.

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